Cardinale Angelo Scola Arcivescovo di Milano
14 febbraio 2013 MALPENSA - "VARCARE LA SOGLIA" - il card.Scola dialoga con i giovani
Comunicare la Bellezza, la Verità e la Bontà di Gesù.
Il saluto ai milanesi del Cardinale Angelo Scola

Al carissimo confratello nell’episcopato Card. Dionigi, a tutti i fedeli della chiesa ambrosiana, a tutti gli abitanti dell’Arcidiocesi di Milano, mi preme accompagnare la decisione del Santo padre di nominarmi Arcivescovo di Milano, con un primo affettuoso saluto.
Voi comprenderete quanto la notizia, che mi è stata comunicata qualche giorno fa, trovi il mio cuore ancora oggi in un certo travaglio.
Lasciare Venezia, dopo quasi dieci anni domanda sacrificio. D’altro canto la Chiesa di Milano è la mia Chiesa madre. In essa sono nato e sono stato simultaneamente svezzato alla vita e alla fede. L’obbedienza è l’appiglio sicuro, per la serena certezza di questo passo a cui sono chiamato. Attraverso il Papa Benedetto XVI l’obbedienza mia e vostra è a Cristo Gesù. Per Lui e solo per Lui io sono mandato a Voi.

E comunicare la bellezza, la verità e la bontà di Gesù Risorto è l’unico scopo dell’esistenza della Chiesa e del ministero dei suoi pastori. Infatti, la ragion d’essere della Chiesa, popolo di Dio in cammino, è lasciar risplendere sul suo volto Gesù Cristo, Luce delle genti. Quel volto crocifisso che, secondo la profonda espressione di San Carlo, “faceva trasparire l’immensa luminosità della divina bontà, l’abbagliante splendore della giustizia, l’indicibile bellezza della misericordia, l’amore ardentissimo per gli uomini tutti”.
Gesù Risorto accompagna veramente il cristiano nella vita di ogni giorno e il Crocifisso è oggettivamente speranza affidabile per ogni uomo e per ogni donna. In questo momento chiedo a Voi tutti, ai Vescovi ausiliari, ai presbiteri, ai diaconi, ai consacrati e alle consacrate, ai fedeli laici l’accoglienza della fede e la carità della preghiera. Lo chiedo in particolare alle famiglie, anche in vista del VII Incontro mondiale. Vi assicuro che il mio cuore ha già fatto spazio a tutti e a ciascuno. Sono preso a servizio di una Chiesa che lo Spirito ha arricchito di preziosi e variegati tesori di vita cristiana dall’origine fino ai nostri giorni. Lo abbiamo visto, pieni di gratitudine, anche nelle beatificazioni di domenica scorsa. Mi impegno a svolgere questo servizio favorendo la pluriformità nell’unità. Sono consapevole dell’importanza della Chiesa ambrosiana per gli sviluppi dell’ecumenismo e del dialogo interreligioso.
Questo mio saluto si rivolge anche a tutti gli uomini e le donne che vivono le molte realtà civili della Diocesi di Milano, ed in modo particolare alle Autorità costituite di ogni ordine e grado: “L’uomo è la via della Chiesa, e Cristo è la via dell’uomo” (Benedetto XVI nella beatificazione di Giovanni Paolo II)
Vengo a voi con animo aperto e sentimenti di simpatia e oso sperare da parte Vostra atteggiamenti analoghi verso di me. Chiedo al Signore di potermi inserire, con umile e realistica fiducia, nella lunga catena degli Arcivescovi che si sono spesi per la nostra Chiesa. Come non citarne qui almeno taluni che ci hanno preceduto all’altra riva? Ambrogio, Carlo, Federigo, il card. Ferrari, Pio XII, il card. Tosi, il card. Schuster, Paolo VI, il card. Colombo.
Ho bisogno di Voi, di tutti Voi, del Vostro aiuto, ma soprattutto, in questo momento, del Vostro affetto. Chiedo in particolare la preghiera dei bambini, degli anziani, degli ammalati, dei più poveri ed emarginati. Lo scambio d’amore con loro, ne sono certo, è ancor oggi prezioso alimento per l’operosità dei mondi che hanno fatto e fanno grande Milano: dalla scuola all’università, dal lavoro all’economia, alla politica, al mondo della comunicazione e dell’editoria, alla cultura, all’arte, alla magnanima condivisione sociale…
Un augurio particolare voglio rivolgere alle migliaia di persone che sono impegnate negli oratori feriali, nei campi-scuola, nelle vacanze guidate, e in special modo ai giovani che si preparano alla Giornata Mondiale della gioventù di Madrid.
Domando una preghiera speciale alle comunità monastiche.
Nel porgere a Voi tutti questo primo saluto, voglio dire il mio intenso affetto collegiale ai Cardinali Carlo Maria Martini e Dionigi Tettamanzi.
Non voglio concludere queste righe senza esprimere fin da ora la mia gratitudine a tutti i sacerdoti, primi collaboratori del Vescovo, di cui ben conosco l’ambrosiana, diuturna dedizione ecclesiale e la capillare disponibilità verso gli uomini e le donne del vasto territorio diocesano.
Mi affido all’intercessione della Madonnina che, dall’alto del Duomo, protegge il popolo ambrosiano.
In attesa di incontrarVi, nel Signore Vi benedico.
Angelo Card. Scola
Arcivescovo eletto di Milano
Venezia, 28 giugno 2011
 
Chi è Angelo Scola
“All’inizio della storia di Angelo Scola ci sono un padre camionista che leggeva il quotidiano fondato da Antonio Gramsci, e una madre devota che recitava il rosario ogni sera nella penombra della cucina”: inizia così il profilo del nuovo arcivescovo di Milano tracciato da Andrea Tornielli, vaticanista della Stampa, che così prosegue parlando dei suoi anni veneziani: “Qui, oltre che pastore e intellettuale, il cardinale dimostra di essere anche un grande organizzatore. Sceglie collaboratori anche molto diversi da lui e distanti dalle sue posizioni. Istituisce il polo universitario Marcianum e la rivista Oasis per il dialogo con il mondo islamico. Da Venezia, sei anni fa, lancia l’idea del «meticciato di civiltà»: «Come cristiani vogliamo restare ancorati alla realtà… Il vero terreno di confronto non è tra cristianesimo e islam, ma tra uomini che condividono la stessa esperienza elementare».
Scrive diversi libri e soltanto una lettera pastorale, privilegia il contatto personale, dedica una mattina, quella del mercoledì, a ricevere chiunque voglia parlargli, anche senza appuntamento. Visita tutte le parrocchie, compresa la chiesa di San Simeon piccolo, concessa in uso ai tradizionalisti che celebrano ogni domenica la messa preconciliare.
Predilige l’incontro con gli ammalati, i bambini, gli emarginati.
Insiste particolarmente sull’educazione: «Forse non c’è mai stata un’epoca in cui si sia parlato così tanto di valori come quella attuale.
Ma il punto è che non si educa ai valori parlando di valori, ma facendone fare esperienza»”. Aldo Cazzullo sul Corriere della Sera dedica al card. Scola un lungo ritratto che parte già in prima pagina e comincia anch’egli con le origini familiari: “Suo padre Carlo faceva il camionista. Guidava un Fiat 626 che faceva al massimo 37 chilometri l'ora. «All'epoca non c'era il servosterzo, papà doveva girare le ruote a forza di braccia. Gli erano venuti due muscoli così... Si ammazzò di lavoro per farci studiare».
La madre, Regina, molto religiosa - «per lei credere era come respirare» -, mandava i figli a distribuire il giornale dei preti, il Resegone. Il padre invece era di sinistra. Socialista marxista. «Io stesso tra i 14 e i 18 anni, durante gli anni del mio liceo - ha scritto Scola -, ero preso dall'interesse per la politica in una maniera tale che l'appartenenza alla Chiesa è come caduta in secondo piano. Ero talmente conquistato dai problemi sociali, politici - avevo una simpatia per i partiti marxisti perché il mio papà era impegnato nel partito socialista di Nenni, quando era massimalista - che questi prendevano il sopravvento su tutto il resto. Allora era come se Dio non ci fosse, come se la Chiesa non ci fosse, se Dio non contasse più. Mentre prima le domande più importanti della vita - Perché sono nato? Da dove vengo? Dove vado? Cosa sono al mondo a fare? Cosa vuol dire voler bene agli amici? Cosa vuol dire soffrire? Cosa vuol dire amare? - mi rodevano dentro, adesso le avevo messe a tacere. Era come se tutte queste cose non contassero più. Poi, grazie a Dio, alla fine del liceo ho trovato degli amici che invece vivevano in maniera più intensa tutto».
Tra quegli amici c'era un sacerdote che insegnava religione al liceo Berchet e aveva fondato Gioventù Studentesca: don Luigi Giussani.
Formatosi nell'Azione Cattolica, Scola vive dal di dentro la fondazione e la crescita di Cl. Ma nessuno dei luoghi comuni evocati dagli avversari di Comunione e Liberazione lo riguarda. Non è settario, ha una visione aperta delle relazioni umane, è curioso delle persone e delle cose che non conosce. E il suo colore preferito non è il bianco né il nero, ma il grigio: da ragazzo è arrivato a contarne sul lago nove sfumature diverse... Da cardinale, Scola è andato costruendo in questi anni un proprio sistema di pensiero, dalle fondamenta ben piantate nei papati di Wojtyla e di Ratzinger, ma con forti elementi di autonomia.
Un sistema incentrato attorno ad alcune parole-chiave. A partire dalla «vita buona». Due parole che tutti usiamo molto spesso, senza accostarle mai.
La vita nella Roma di Fellini era «dolce». «La vita è bella», sostiene con ragione Roberto Benigni. «La bella vita» è il titolo del film di Paolo Virzì, «Bella la vita» fu il primo libro di Lucio Dalla. Per Luciano Bianciardi la vita era semmai «agra». Fu «lunga» la vita di Marianna Ucria, raccontata da Dacia Maraini.
Quasi mai si sente parlare di «vita buona».
Scola usa questa espressione senza moralismo, come una chiave che apre tutte le porte, che dà un'interpretazione della politica, del Sessantotto - sulle cui origini diede una lettura positiva tanto che Il Manifesto lo definì «il cardinale “beat” -, della scuola, della famiglia, del fine vita, dell'amore.
La sua idea è che il cristianesimo non penalizza le passioni, i desideri, financo gli istinti; anzi, esalta l'umanità, la differenza tra uomo e donna, l'attrazione per il bello... Questa è per lui la vita buona: la forma più alta di libertà, in cui il voler essere e il dover essere coincidono - si vuol fare ciò che si deve fare -, animata dall'amore per il bello, il bene, il vero, l'eterno. Perché «non c'è amore senza promessa, non c'è promessa senza "per sempre", e non c'è "per sempre" se non sino alla fine, sino e oltre la morte». Il nuovo arcivescovo di Milano ha introdotto nel mondo delle idee della Chiesa altri due concetti fondamentali. La «nuova laicità», quasi un manifesto del modo della Chiesa moderna di stare nella società e partecipare alla discussione e alle decisioni politiche: senza creare un legame con un partito, senza pretendere obbedienza, ma anche senza rinunciare a esprimere la propria posizione e ad auspicare che il legislatore la recepisca. E il «meticciato» - non una scelta, ma un fenomeno storico con cui fare i conti - agli antipodi sia dei retori del relativismo culturale sia dei nemici della società multietnica...
Tra i cardinali italiani, è forse quello che dà e concede più facilmente il tu. Nelle discussioni pubbliche, chiede sempre il nome dell'interlocutore e con il suo nome gli si rivolge, magari per criticarlo, senza preoccuparsi di captarne la benevolenza. Ascoltarlo è un piacere intellettuale che richiede attenzione. E se qualcuno obietta che parla difficile, potrebbe sentirsi rispondere: «Chi dice così, di solito vuol sentire solo cose che già sa». Questo è Angelo Scola. E ciò aiuta a capire perché Milano e i cattolici italiani guardano a lui con grande speranza”.